Talete vs Cheope

Pubblicato il da caelsius

Dedico questa conversazione alla signora Falpala’, raro esempio di classe, signorilità e femminilità, dominatrice della geometria proiettiva nella professione ed in Ludonet.

IMG6 

 A me di Talete non interessa raccontarvi quello che potreste facilmente trovare dappertutto: che era nato a Mileto, splendida città della Ionia, tra il 640 ed il 624 a.C. da padre greco, Essemias, e madre fenicia, Cleobulina, un nome che sembra quello di un farmaco di fascia A, una via di mezzo tra una proteina sintetica ed un pigmento epatico. E poi tutto il resto della sua biografia. No. Di Talete a me piace evidenziare come egli non fosse un matematico vero e proprio, ma piuttosto un pensatore, il primo vero pensatore della storia a memoria d’uomo. Non che prima di lui non si pensasse, però mai nessuno si era posto "certe domande" : Cosa vuol dire pensare? Qual è il rapporto tra ciò che esiste e quello che penso? Esistono cose che sfuggono al mio pensiero? Di che cosa si compone la natura?…… Talete era, quindi, soprattutto un intellettuale dedito alla pura speculazione, molto più interessato alla forma ed alla geometria degli oggetti che ai numeri. Fu lui ad introdurre la quarta grandezza geometrica, l’angolo, come entità autonoma e con pari dignità delle grandezze della triade tradizionale, composta da lunghezza, superficie e volume. Egli stabilì un legame "forte" tra angoli e lati di un triangolo, concetto che trovò trionfale affermazione, prima ancora che in trigonometria, nel teorema del triangolo isoscele: se un triangolo ha due lati uguali, deve necessariamente avere anche due angoli uguali, e viceversa. Poi dimostrò che tre punti non allineati non solo definiscono un piano ed un triangolo, e questo può essere intuitivo, ma addirittura che esiste sempre un cerchio, di cui fornì la costruzione, che passa per i tre vertici di tale triangolo, e questo non era per niente scontato. Sembrano banalità ma non lo sono. Vi siete infatti mai chiesti perché per le foto o le riprese cinematografiche ci si poggia sul treppiede e non sul quattropiede? Talete vi dice perché: per tre gambe passa un solo piano, ma se ne aggiungete una di gamba i possibili piani di appoggio diventano due ed il tavolo passa a suo piacimento da uno all’altro e balla. Per cui quando capita di sedersi ad un tavolo a quattro gambe è inevitabile lo scatenarsi di una logorante caccia alla zeppa, alla scaglia di mattonella, al cuneo di legno, al foglio di giornale da ripiegare 12 volte per fare spessore. Poi mettete la zeppa sotto una gamba e se ne squilibra un’altra e non risolvete niente.. Allora, quando d’estate siete in vacanza, fa caldo e vi sedete in costume da bagno all’ombra del pergolato di introvabile Moscato di Terracina per giocare a pinnacolo, auguratevi che il tavolo da gioco abbia tre gambe, così sarà stabile e non claudicherà. Perché altrimenti i giocatori si innervosiscono che cascano le carte, e quando fai per raccoglierle levi le mani dal tavolo e ti volano via le scale che avevi davanti, e tutti che cominciano a correre di qua e di là per acchiappare le carte che il vento porta via. Per scappare dal tavolo lo urti violentemente e fai rovesciare i bicchieri ancora mezzi pieni di birra, aranciata e coca cola che ti impiastricci tutto tu e riduci ad uno straccio bagnato la Lucrezia che per pigrizia non s’era ancora alzata, annientandole il completino D&G da 300 €, T-shirt pandant con gli hot-pants, messo per la prima volta. E mentre la Lucrezia, ridotta che sembra un mocho vileda fradicio, strepita forsennatamente e cerca disperata una lama affilata per recidersi le vene, tutti che inveiscono e danno in escandescenze come invasati, poi pure ‘sto caldo che ci si mette e guarda come si suda….E ci si infuria tutti senza che nessuno sappia il perché, e mentre le carte continuano a volare – qualcuna al di là della rete del vicino - una parola tira l’altra, si fraintende, si arriva a litigare, per un nonnulla ci si picchia, se i toni s’alzano ci si accoltella ed un innocente passatempo come il pinnacolo sfocia in tragedia che a momenti ci scappa pure il morto. E tutto questo perchè? Per colpa di un tavolo con una gamba di troppo…. Allora, stateci attenti d’estate quando fa caldo e vi sedete in costume da bagno all’ombra del pergolato di introvabile Moscato di Terracina per giocare a pinnacolo e c’è pure la Lucrezia. Se il tavolo ha quattro zampe, datemi retta : o ne segate una, od oppure fate come me, che prendo, lascio tutto e me ne vado in bicicletta a fare il bagno al mare, all’Oasi di Kufra, che io mi abbronzo e nessuno si fa male. Come dite? Kufra è troppo lontana? Ma no, sta a Sabaudia sul Mar Tirreno, mica sul Mar Rosso.…. Un giorno Talete prese un compasso, una riga ed una matita e tracciò un cerchio. Poi pensò di tracciare sullo stesso piano una retta: questa poteva essere esterna al cerchio, oppure tagliare il cerchio. In questo secondo caso, quale doveva essere la posizione della retta per dividere il cerchio in due parti uguali? La sua risposta fu che la retta doveva passare per il centro. Il segmento della retta passante per il centro compreso all’interno del cerchio è un diametro, ed è il segmento più lungo che un cerchio possa accogliere in sé, ed è anche una misura caratteristica del cerchio stesso. Questo non vale per un cerchio particolare, ma per tutti i cerchi esistenti. E questa fu la genialità introdotta da Talete. La sua ambizione di definire proprietà che valessero non per un singolo oggetto, come facevano prima di lui egizi e babilonesi, ma per tutta una infinita classe di oggetti, talchè uno qualsiasi di essi potesse essere preso a rappresentarli tutti, gli fece precorrere di una ventina di secoli un approccio poi divenuto consuetudine, quello del cosiddetto “modello matematico”. Incamminatosi su questa via, Talete scovò verità stupefacenti per l’epoca, sino ad arrivare a quello che è una pietra miliare della geometria: il teorema delle proporzioni. Esso asserisce che rette parallele di un fascio intercettano su due rette ad esse trasversali segmenti corrispondenti le cui lunghezze sono tra loro proporzionali. Era ed è il fondamento per stabilire il criterio che permette di riconoscere la similitudine tra gli oggetti, che consente di affermare che tutti gli oggetti tra loro simili sono accumunati dalla stessa forma. Ovvero, che la forma è la caratteristica invariante di un oggetto quando se ne modificano le dimensioni, ma non le proporzioni in cui tali dimensioni stanno tra di loro. Ora pensate a quello che questo risultato significa in tutte le applicazioni quotidiane in cui si mettono in gioco i rapporti:i cambiamenti di scala, il disegno di mappe; gli ingrandimenti e le riduzioni fotografiche; le carte geografiche; la misurazione delle distanze siderali in astronomia; i modellini in scala di auto, aerei, sonde spaziali, bacini idrici, dighe, ecc; la realizzazione del plastico di palazzi, monumenti, intere aree urbanizzate, ponti, viadotti…. Un giorno Talete lasciò Mileto e si imbarcò per andare in Egitto ad ammirare le piramidi. Quando arrivò di fronte a quella di Cheope rimase ammaliato dalla sua imponente maestosità e dalla purezza delle linee di quella che è una delle sette meraviglie del mondo, l’unica ad essere sopravvissuta sino alla nostra epoca. Si chiese quanto mai fosse alta, ma la sua domanda non ammetteva risposta. Il monumento più visibile del mondo era anche quello che non poteva essere misurato, tanto era grande. Però Talete non era uno facile a rassegnarsi. Nei giorni seguenti, tra un giro ed un altro, passava e ripassava davanti alla piramide che quasi sembrava volerlo chiamare ad una sfida impari per umiliarne la sete di conoscenza e la sua ambizione di filosofo e matematico. Una volta che si soffermò pensieroso più a lungo di altre, Talete notò che la sua ombra era diversa da quella che il sole proiettava quando era arrivato. Era passato del tempo, e col tempo la sua ombra si modificava. Gli venne allora in mente di tracciare a terra un cerchio di raggio esattamente uguale alla propria statura. Prese una canna, la tagliò alla misura esatta, ne fissò una estremità al suolo e tracciò un cerchio. Più o meno a mezzogiorno, si mise in piedi al centro del cerchio. La sua ombra cadeva a perpendicolo ed era rastremata attorno ai suoi piedi. Pian piano, però, l’ombra cominciò ad allungarsi, sino a quando la sua estremità non sfiorò la circonferenza del cerchio. In quel preciso istante fece piantare nel terreno un piolo nel vertice dell’immenso cono d’ombra della piramide che il sole proiettava al suolo. La sfida che il grande faraone Cheope lanciava da 2000 anni era stata raccolta: aveva catturato l’informazione essenziale per la misurazione dell’altezza della piramide. Infatti, in base al teorema delle proporzioni, ed assumendo che il sole sia abbastanza lontano da poter considerare paralleli tra loro i suoi raggi, nell’istante in cui la lunghezza dell’ombra di Talete uguagliava la sua statura, la lunghezza dell’ombra della piramide doveva essere uguale all’altezza della stessa!! Purtroppo per effettuare la misura questo non bastava, però Talete aveva imboccato la strada giusta. Bisogna, infatti, considerare che il segmento di verticale che rappresenta l’altezza della piramide ha i suoi due estremi che coincidono uno con il vertice della piramide, l’altro con il centro del quadrato che costituisce la base della stessa. Per effettuare la misura, bisognava misurare la distanza del vertice del cono d’ombra dal centro della base che però, stando all’interno della piramide, risultava inaccessibile. Figuratevi, però, se ciò poteva essere sufficiente a scoraggiare Talete dal concludere l’impresa! Egli pensò subito che il segmento congiungente il centro della base della piramide con il vertice del cono d’ombra era scomponibile in due parti: una esterna ed una interna alla piramide. La prima, aveva una lunghezza che altro non era che la distanza del vertice del cono d’ombra dal lato in ombra della piramide ed era direttamente misurabile. La parte interna, non misurabile “de visu” altro non era che la distanza del centro del quadrato da uno dei lati, che per definizione vale la metà del lato stesso. In conclusione, il segmento orizzontale che rappresentava l’altezza della piramide era la somma della metà del lato della base della piramide, e della distanza dal lato del vertice del cono d’ombra, ed entrambe le lunghezze erano misurabili!!! Talete non stava più nella pelle, aveva battuto il grande Cheope! Invero la sua era una vittoria incompiuta, perchè Talete aveva escogitato il procedimento per effettuare la misura, ma non poteva esibire alcun risultato concreto, e non era cosa da poco per uno come lui. Tutta colpa del fatto che il ragionamento si basava su ipotesi implicite che erano tutt’altro che verificate al momento delle sue misurazioni iniziali. Tali ipotesi erano che i raggi del sole fossero inclinati abbastanza da produrre un cono d’ombra all’esterno della piramide, e che la direzione dei raggi solari fosse perpendicolare, non sghemba, al lato nord della piramide. Solo in queste circostanze il suo criterio avrebbe condotto ad un risultato attendibile. Ma che problema c’era? Talete era anche astronomo….. e fece qualche elucubrazione in merito. Allora la piramide di Cheope sta a Giza, circa 30 gradi a nord dell’Equatore. Considerati i 23 gradi di inclinazione dell’asse terrestre sull’eclittica, d’estate allo zenit il sole si vede con elevazione di 83 gradi, troppi per consentire alla piramide di proiettare l’ombra di se stessa. Quindi il Nostro doveva tornare d’inverno, o comunque dopo l’equinozio d’autunno e prima di quello di primavera. Poi c’era da considerare la condizione di perpendicolarità. A conti fatti, le uniche due giornate dell’anno in cui queste condizioni sono entrambe perfettamente verificate sono il 21 di novembre ed il 20 di dicembre. In effetti, ad essere rigorosi, c’era una ulteriore condizione da verificare: quella che l’altezza della piramide fosse superiore alla lunghezza della metà del lato della base. In caso contrario il cono d’ombra non sarebbe mai uscito dalla base della piramide. Ma a questa condizione sembra avere pensato solo Caelsius…quindi si vede che o non era importante, o che Talete la considerasse un assioma. Talete si ripresentò, quindi, al momento propizio ed effettuò la misurazione. C’era però un’ultima, piccola difficoltà: non esisteva il metro, né qualcosa che gli somigliasse. Talete arrivò armato solo di una cordicella che aveva la lunghezza della sua statura. Inventò quindi lì per lì una nuova unità di misura:il “talete”!!! Misurò la lunghezza dell’ombra esterna che risultò pari a 18 "talete". Poi misurò il lato della base e ne divise per 2 la sua lunghezza, ottenendo la misura di 67 "talete". Era fatta, l’altezza della piramide era di 85 “talete”. Confrontando la lunghezza del lato della piramide misurata col "talete" con quella misurata in cubiti egizi, si verifica che un "talete" equivaleva a 3,25 cubiti, per cui il risultato trovato da Talete era che l’altezza della piramide era di 85x3,25 = 276,25 cubiti. Sapete qual è l’altezza effettiva della Piramide di Cheope? 280 cubiti scarsi, cioè circa 147 m. Facendo solo ricorso al ragionamento Talete fece un errore dell’1.33%, niente in considerazione delle condizioni in cui il risultato era maturato. Incidentalmente, abbiamo anche scoperto qual era la statura di Talete : circa 1,72 m. Un gigante, se pensiamo che sei secoli dopo di lui, Giulio Cesare, la cui statura non arrivava ad 1,60 m, era considerato "un uomo alto e dalla figura imponente"! Ora, se andate a Giza, ricordatevi di portare, oltre alla cremina protezione almeno 30, una fettuccia arrotolabile e fate scena fingendo di misurare la piramide come fece Talete, col cerchio e tutto il resto : in men che non si dica diverrete l’idolo dei turisti presenti che vi si faranno tutti intorno (mano sul portafogli…) e che faranno la fila per essere fotografati con voi. E lo potete fare sempre, in qualunque giorno dell’anno che non sia di piena estate ( ma chi è il pazzo che va in Egitto a luglio od agosto??). Però prima ripassatevi un po’ di trigonometria elementare, seno e coseno, niente di più, per considerare l’effettivo angolo di incidenza del sole, e poi ricordatevi che da Talete son passati 2600 anni e che i saccheggi e l’erosione hanno ridotto le dimensioni originarie della piramide: il lato si è ridotto da 233 a 230 metri, e l’abbattimento della cuspide ha ridotto l’altezza della Grande Piramide a 136 m. Ed ora, per la gioia degli appassionati di cabala, astrologia e numerologia vi butto lì qualche “coincidenza” suggerita dalle dimensioni della piramide. Io non mi sbilancio, voi fatene l’uso che ritenete più opportuno. Cominciamo dal lato della base che è esattamente un ottavo di minuto di un grado della circonferenza terrestre. In altri termini se moltiplicate 233 m per 8, per 60 e poi per 360 ottenete poco più di 40 milioni di metri, ovvero 40.262 km che, metro più, metro meno è la lunghezza dell’equatore. Poi nel 1800 qualcuno si accorse che dividendo il perimetro della piramide (233x4) per il doppio dell’altezza effettiva che è ufficialmente di 147,75 m si ottiene il valore di pi-greco, cioè 3,14, il numero fisso che moltiplicato per il diametro dà la lunghezza della circonferenza di un cerchio. Non va trascurato il fatto che il valore di pi-greco sino alla sua quarta cifra decimale fu trovato dagli “occidentali” solo nel VI secolo d.C. Quasi per ovvia conseguenza, il rapporto tra il lato del quadrato di base e l’altezza corrisponde alla sezione aurea di un segmento. Come rapporto di lunghezze esso è quindi un numero irrazionale puro e vale circa 1,618. Da sempre, il rapporto aureo è molto impiegato dagli architetti per definire canoni architettonici gradevoli e di grande effetto visivo, come fece ad esempio Fidia quando progettò le armoniose linee del Partenone sull’Acropoli di Atene. Il perimetro della piramide, espresso in “pollici piramidali” (1/25 di cubito), è di 36.500 e rappresenta 100 volte i giorni di un anno, ovvero un secolo. L’altezza della piramide è un miliardesimo della distanza Terra-Sole (perdoneremo ai nostri amici egizi l’errore dello 0,67% nella misurazione di una distanza per coprire la quale ad un raggio di luce occorrono più di 8 minuti…). Moltiplicando per mille miliardi il peso della piramide stimato in 6 milioni di tonnellate si ottiene la massa, cioè il peso, della Terra…L’altezza della piramide coincide con l’altezza media dei continenti sul livello del mare, montagne, altopiani, depressioni e pianure incluse. La leggera arcuazione degli spigoli della piramide ha un raggio che coincide con quello di curvatura terrestre. Potrei dilungarmi per un bel pezzo, ma vi risparmio tutto quello che esce fuori se vi mettete a giocare coi numeri che rappresentano le coordinate geografiche del posto. Ma chi vuole approfondire può farlo quanto vuole. L’egittologia è una delle materie più indagate da sempre e la letteratura in questo campo è praticamente sterminata. Buona ricerca. Ciao, Caelsius.

Con tag Curiosità

Per essere informato degli ultimi articoli, iscriviti:
Commenta il post
F
In arabo TALATA significa il numero tre, e TALETE inventò la geometria dei triangoli applicata alla ricostruzione di quei lotti di terreno egizi che erano stati inondati dalla piena del Nilo. Naturalmente un'assonanza e una coincidenza dei due nomi?<br /> <br /> III. Sulla Sfinge di Giza e una dissertazione sull’Esodo<br /> <br /> C’è un particolare nella Tavolozza di Narmer (protodinastia egizia, 3200 a.C., Museo delle antichità de Il Cairo) sfuggito all’esame degli esperti. Su una sua faccia, e lì dove Narmer indossa la corona bianca, ben si nota il falco solare sul corpo, come insabbiato, di un’asiatica sfinge coronata da steli di papiro. Stesso copricapo egizio, persino la barbetta poi perduta dalla Sfinge di Giza. Secondo me, essa era la base scultorea per la Sfinge di Giza e la sua testa venne riscolpita all’epoca di re Chefren, mentre gli arti di leone le furono aggiunti scavando alla sua base, ma la sua fattura è chiaramente più antica e appartenente al Popolo del papiro, quello che la Bibbia chiama Misraim. Ma Misraim non è Misri, l’Egitto predinastico non è il dinastico! Se, peraltro, osserviamo la storia dell'Egitto per come ci viene descritta da reali documenti, possiamo individuare persino il vero faraone dell'Esodo biblico in Amenofi II, figlio del valoroso Thut-mosi III, quello di 17 campagne belliche contro il Popolo di Mitanni per la conquista di Meghiddo, in Palestina. Secondo l'archeologo Gardiner, durante la seconda spedizione il suo dio Amon circondò i nemici con larghi fossati di fiamme e fumo: che ciò siano le famose colonne di fuoco con cui si annunciava il dio israelitico non mi par dubbio, ma da parte di astrofisici e alcuni archeologi molto noti, come il Di Cesare, ciò è riconducibile a un impatto meteoritico che causò la caduta di antiche civiltà, come in Mesopotamia così altrove. Di sicuro un meteorite si trova nella Ka’ba della Mecca. Certo, questioni astrofisiche, come eclissi di luna, registrate dagli antichi spostano datazioni di certi eventi. Stando così le cose, primo: Abramo, come patriarca, aveva avuto una schiava egizia di epoca hyksos, dunque fu vissuto all'epoca di Hammurabi di Babele (non di Babilonia, che è una regione!) e di Ariok di Ellasar, ovvero Rim-Sin, re di Larsa, e di Kedorlaomer, alias Kudur-Lagamar di Elam (chi cerca trova un bel libro di Arborio Mella); secondo: Gerico fu, invece, presa e incendiata solo ai tempi di Ekh-en-Aton, e lo fu a causa dei Habiru (come già sosteneva Sigmund Freud in uno dei suoi saggi psicoanalitici su Mosè, e anche un dimenticato Sir Marston), quindi ai tempi di rilassatezza politica, non essendoci ignoto che molto più tardi Ramesse II si recò in Galilea, nel 1272 a. C., mentre più a Nord proprio la città di Gerico era vuota e deserta da molto, molto tempo. E c'è da chiedersi come mai la Bibbia (pare che re Giosìa, poi ucciso in battaglia da faraone, ne abbia trovato una versione nelle profondità segrete del Tempio di Salomone. Chissà se la adottò come testo ufficiale!) ci descriva cose in altra maniera. Cosa si vuole forse nascondere, che Ramesse II, anni dopo la battaglia di Qadesh, fece un'alleanza di mutua assistenza con gli Ittiti anatolici e che essi si divisero tutti i terrritori e i gruppi umani nelle terre di mezzo? Di certo Mer-en-Ptah, successore al trono di Ramesse II, disperse tribù ribelli nel deserto, e tra di esse vi cita una tribù di nome Israele, non già quel futuro regno. La notizia di ciò fu scolpita sulla stele nera guarda caso già appartenuta a Amenofi II (Amen-hotep). In conclusione, accennando a notizie dell’egittologo Donadoni in cui Israele persino partecipò a campagne belliche in Egitto ai tempi dei Persiani e a quelli di Bagoa, allora governatore di Giudea, in cui in Alto Egitto, a Elefantina, venne costruito tempio dedicato a Geova, se si vuole proprio credere veritiera la parola del biblista, la Legge dei padri fu, però, compilata quando i due scettri non avevano più influenza sulle province costiere: solo dopo Ramesse III, che sconfisse nel delta del Nilo i cosiddetti Popoli del Mare, solo allora si potè dichiarare che la regina Nefert-ari, moglie di Ra-messes, si fu infatuata di un certo Mosè, senza incappare nella vendetta dei faraoni contro la calunnia (ma forse di Mosè ne esistettero più di uno e, come scrisse il giornalista americano Lehrner, uno era solo egiziano: egli attraversò le paludi del Mar Rosso e fabbricò serpenti in rame nell’oasi sinaitica di Qetta con fonderie, appunto, egiziane). Una certa bestia ha diecimila occhi e orecchi dappertutto e riferisce tutto al visir.
Rispondi