La partita di calcio più drammatica

Pubblicato il da caelsius

 

Il torneo mondiale per nazionali di calcio, ideato da un gentiluomo francese che si chiamava Jules Rimet, venne istituito dalla FIFA alla fine degli anni ’20. La sua prima edizione si disputò in Uruguay nel 1930 in omaggio al fatto che la rappresentativa di quel Paese era Campione Olimpico in carica. Ed infatti l’Uruguay confermò la sua superiorità planetaria disponendo facilmente in finale dell’Argentina con un eloquente 4:2. Da allora il calcio è diventato lo sport forse più popolare del mondo. E’ facilmente praticabile: bastano una palla e due fagotti per poter disputare una partita in una strada poco frequentata, in un cortile, in un angolo di prato. E poi il calcio è uno sport di squadra capace come nessun altro di scatenare il coinvolgimento emotivo e passionale di folle sterminate in ogni angolo del mondo, senza distinzioni di razza, religione, età o sesso. Nella storia del calcio si sono scritte pagine memorabili, alcune tremende, pensiamo a Superga-1949 (scomparsa del Grande Torino in un disastro aereo), a Monaco di Baviera 1958 (morti 8 giocatori del Manchester United pure per un incidente aereo), all’Heysel nel 1985, dove 39 tifosi della Juventus trovarono la morte, ed altri 600 rimasero feriti, travolti dal crollo di una tribuna durante un assalto di hooligans del Liverpool. Ma il calcio è stato capace di scrivere pagine indimenticabili, esaltanti per alcuni, struggenti e malinconiche per altri, che resteranno comunque scolpite per sempre nella memoria di tifosi e sportivi. Come potranno mai essere dimenticate le emozioni dell’avvincente finale di Champions League del 1999 tra Bayern e Manchester United, quando lo United fu capace di rovesciare un mortificante 1-0 (gol di super-Mario Basler) in un esaltante 1:2 nei tre minuti di recupero concessi dall’arbitro P. L. Collina, con due corner battuti da David Beckham e trasformati in gol da Sheringham e Solskjaere? Ed andando a ritroso, il 4:3 di Italia–Germania a Messico 1970, od il fantastico 5:2 col quale nel 1958 il Brasile, unica squadra a prendere parte a tutte le edizioni del torneo mondiale, riuscì a laurearsi per la prima volta campione, battendo in finale i padroni di casa della Svezia del barone Niels Liedholm. Una partita quella che segnò la definitiva consacrazione del più grande talento calcistico mai apparso sulla Terra: Edson Arantes do Nascimiento, detto Pelè, diciassettenne ed autore di una doppietta. E come sarebbe possibile per noi italiani, non riandare con la memoria alla splendida coppia di titoli vinti a Roma nel 34 ed, a seguire, nel 1938 in una ostile Parigi, od ai trionfi di Spagna ‘82 e di Germania 2006… Oggi, però, vorrei porre all’attenzione generale la più drammatica partita di calcio di tutti i tempi, Brasile-Uruguay finale del mondiale del 1950, un incontro il cui esito ebbe conseguenze traumatiche sul piano sportivo, nonchè pesanti ripercussioni politiche, economiche e sociali per un grande paese come il Brasile, che da allora non fu più lo stesso. Ma procediamo con ordine. Nel 1950 il mondo ancora si leccava le ferite dell’ultimo, devastante conflitto mondiale. L’Europa era semidistrutta. La Germania era rasa al suolo. L’Italia, dove si celebrava l’Anno Santo indetto da S.S. Pio XII, era ridotta in ginocchio; ad eccezione di Svizzera e Svezia, tutte le nazioni del vecchio continente erano alle prese con i pesanti problemi della ricostruzione, della crisi economica, dell’inflazione, della orrenda lacerazione del tessuto sociale che l’Olocausto e complessivamente 55 milioni di morti avevano prodotto. A causa degli eventi bellici i mondiali di calcio del 1942 e del 1946 non furono disputati. Questo fatto ha reso l’Italia la nazionale che può vantare il più lungo periodo di detenzione del titolo, cioè i 16 anni che corrono dal 1934 al 1950. Jules Rimet, l’inventore dei mondiali ed allora presidente della FIFA, si battè con tutte le sue forze perché i mondiali del 1950 si disputassero, temendo che in caso contrario il torneo che portava il suo nome sarebbe finito per sempre in un dimenticatoio. Però, al congresso organizzativo della FIFA nessuna nazione si fece avanti per ospitare l’avvenimento. Apparendo improbabile qualsiasi candidatura europea, alla fine, tra le quinte, si convinsero i delegati brasiliani ad avanzare una specie di proposta che fu subito accolta, nonostante le evidenti lacune organizzative e l’assoluta inadeguatezza delle soluzioni logistiche che essa prospettava. E così, fu deciso di giocare il mondiale in Brasile, notizia che fu salutata in quel Paese con manifestazioni di grande gioia e di tripudio popolare, pregustando i tifosi paulisti e carioca una facile conquista del titolo da parte della “selacao branca”, cioè la squadra bianca, dal colore della maglia ufficiale del Brasile di allora. Il primo problema da affrontare, non essendosi potuti organizzare tornei di qualificazione, fu la compilazione della lista delle 16 squadre invitate a partecipare. La Germania fu esclusa a priori per le sue responsabilità belliche. Poi si doveva tener conto di una grossa novità : la disponibilità delle squadre britanniche a confrontarsi con le altre rappresentative, sino ad allora considerate troppo scarse per potersi battere con i Maestri del Regno Unito. Alla fine, furono formati 4 gruppi di 4 squadre ciascuno: Gruppo 1, con Brasile, Jugoslavia, Svizzera e Messico; Gruppo 2, con Spagna, Inghilterra, Cile e Stati Uniti; Gruppo 3 con Svezia, Italia, Paraguay ed India; Gruppo 4 con Uruguay, Bolivia, Scozia e Turchia. Fu curioso il mancato invito della Francia, nonostante che il presidente della FIFA fosse un francese. Questo la dice lunga sulla modestia tecnica della selezione transalpina di quei tempi:monsieur Rimet non voleva fare brutte figure……Le vincenti dei 4 gruppi avrebbero poi disputato un minitorneo con girone unico all’italiana che avrebbe designato la squadra campione. Ma qui subito cominciarono le prime difficoltà. Per problemi politici interni la Turchia fu costretta a dare forfait. Anche la Scozia si ritirò perché, come aveva anticipato, avrebbe partecipato solo nel caso si fosse affermata nel Torneo Interbritannico, che fu invece appannaggio dell’Inghilterra. Alla Scozia parve inopportuno partecipare ad un torneo che comprendeva una squadra che l’aveva battuta di recente, e rinunciò. Caso a parte fu quello dell’India. I giocatori indiani si rifiutavano di giocare con scarpe da calcio, anzi loro erano abituati a giocare a piedi nudi. Non si vollero piegare e furono esclusi dal torneo. Poi c’era l’Italia, che agli occhi della FIFA aveva due meriti che ne rendevano indispensabile la partecipazione: era la squadra campione in carica; era la Nazione che aveva salvato la Coppa Rimet dalle bramosie di saccheggio dei Nazisti in ritirata. Non si sa come, ma Ottorino Barassi, presidente della FIGC, riuscì a nascondere e proteggere la Coppa, che fece quindi bella mostra di sè al tavolo del mondiale. Ma L’Italia era ridotta allo stremo. La guerra le aveva inflitto ferite difficilmente rimarginabili. Il piano Marshall per l’aiuto alla ricostruzione non era decollato. La disoccupazione, le epidemie, le carenze alimentari, i cumuli di macerie sparsi dappertutto avevano distrutto il morale del Paese, e nessuno si ricordava più che eravamo ancora i campioni del mondo. Come non bastasse, l’immane tragedia di Superga aveva drammaticamente posto fine alle vicende della squadra di calcio più forte di quei tempi, e la nuova generazione calcistica non sembrava all’altezza di quella dei loro sfortunati predecessori. Contattati a proposito, i papabili alla maglia azzurra fecero sapere che mai e per nessuna ragione al mondo avrebbero preso un aereo per andare in Brasile. Peraltro le casse della Federazione Italiana erano desolatamente vuote, e non c’erano i soldi per le spese di viaggio, né per il soggiorno in Brasile, né per i premi-partita. Alla fine, per convincerli, la FIFA fece agli italiani un’offerta irrifiutabile: avrebbe sostenuto tutte le spese della nazionale italiana, premi inclusi, ed avrebbe consentito il viaggio in nave dall’Italia a S. Paolo. Così fu. Ma gli azzurri sulla nave non trovarono spazi adeguati per allenarsi, al di là di velleitarie corsette e di qualche seduta di palleggio. Si tentò di disputare delle mini partitelle, ma dopo due giorni di navigazione tutti i palloni erano finiti in mare…..Mentre gli altri in Brasile si allenavano, i nostri arrivarono all’appuntamento mondiale senza allenamento, dopo un periodo di ozi passato ad abbronzarsi ed a giocare interminabili partite a scopone, completamente deconcentrati e senza nessuna cognizione sulle caratteristiche tecnico-tattiche dei nostri avversari. Quello fu il mondiale delle sorprese, per noi fu il mondiale del disastro. Nel nostro girone, dopo la defezione dell’India c’erano due squadre, la Svezia ed il Paraguay, delle quali in condizioni normali avremmo disposto facilmente. La speranza era quella di acquisire una discreta condizione tecnico-atletica nel corso del torneo, giocando inizialmente contro squadre di modesta levatura. Ma non ce ne fu il tempo. All’esordio contro la Svezia riuscimmo ad andare in vantaggio con Carapellese dopo soli 7 minuti, ma fu un episodio effimero perché tre gol degli scandinavi ci affondarono, e a nulla valse la successiva rete di Muccinelli ed un finale disperato per salvarci dalla sconfitta per 2:3. Poi battemmo per 2:0 il Paraguay, ma il pareggio tra la Svezia ed i sudamericani bastò per rispedirci a casa. Nel secondo gruppo, i Maestri inglesi furono duramente sconfitti dalla Spagna, e poi anche dalla cenerentola Stati Uniti! I giornali inglesi furono tempestati dalle proteste dei lettori convinti che il risultato riferito, USA-England 1:0 fosse evidentemente errato!!! Nel quarto raggruppamento, dopo le defezioni di Turchia e Scozia, all’Uruguay bastò battere per 8:0 la Bolivia per qualificarsi. Il primo girone, come era ovvio, qualificò il Brasile, che però ebbe un mezzo passo falso contro la Svizzera che riuscì a pareggiare contro la selecao all’ultimo minuto. Un episodio salutato come un piccolo incidente di percorso, con i giocatori Brasiliani presi a festeggiare coi tifosi esaltati dalle loro evoluzioni e disattenti a quanto succedeva in campo. Il girone finale fu quindi composto da Brasile, Uruguay, Svezia e Spagna. Tutti i pronostici erano unanimemente a favore del Brasile. Qualche critico un po’ controcorrente si azzardò ad indicare la Spagna come credibile outsider. Ma fu preso per matto…Il sorteggio mise di fronte al primo turno Uruguay e Spagna. Questa comandò il match per più di un’ora, ma non seppe mantenere il vantaggio e nel finale concesse la rete del 2:2. Però sembrò che la Spagna potesse veramente dare del filo da torcere al Brasile, ma quando gli iberici finirono sepolti sotto una valanga di 6 gol nel confronto diretto contro la Selecao, nessuno ebbe più dubbi sul Brasile campione. L’Uruguay nell’altra partita andò sotto 1:2 con la Svezia, ma in un finale caotico e frammentario riuscì a ribaltare il risultato portando a casa uno stentatissimo ed immeritato 3:2. Nella sua seconda sortita il Brasile si confermò, rifilando un roboante 5:1 alla Svezia che aveva fatto soffrire l’Uruguay. Ricapitolando, alla vigilia dell’ultima giornata, la classifica del girone vedeva in testa il Brasile con 4 punti (allora la vittoria valeva 2 punti), con 11 gol fatti e 2 subiti in due partite, seguito dall’Uruguay con 3 punti, racimolati grazie a rimonte miracolose nei finali di partita, ed uno score di 5 gol fatti e 4 subiti. L’ultima partita era Brasile-Uruguay, da giocare davanti a 200.000 invasati nel tempio del Maracanà di Rio de Janeiro. Una semplice formalità per tutti. Tutto sommato al Brasile manco serviva vincere, gli sarebbe bastato pareggiare. Una eventualità questa che però nessuno voleva prendere in considerazione neanche per gioco….Era il 16 luglio del 1950 ed il clima era di totale ed incontrollata eccitazione. Le poche decine di tifosi uruguayani che avevano prenotato il viaggio ed i biglietti per la finale, rinunciarono, tanto….. Il presidente FIFA Jules Rimet si fece scrivere in portoghese il discorso col quale rendere omaggio ai giocatori ed alla squadra del Brasile per la vittoria; non ne aveva in tasca uno analogo in spagnolo……I giornali brasiliani avevano già redatto enormi e trionfali titoli a tutta pagina per inneggiare alla vittoria del mondiale, riempito pagine e pagine con la descrizione di vita, morte e miracoli dei giocatori, scritto lunghi articoli che osannavano le sopraffini qualità della scuola di calcio brasiliana, raccontato la storia dei mondiali….Le rotative erano pronte ad avviarsi, mancavano solo dei dettagli trascurabili che sarebbero stai inseriti in tempo reale: il risultato della partita, ed il nome dei marcatori. Per il resto, tutto era pronto. Il Paese era pavesato a festa: striscioni e bandiere dappertutto; i politici di tutta le fazioni alla radio facevano a gara per arrogarsi il merito della vittoria del mondiale, statue in cartapesta e ritratti dei giocatori spuntavano ad ogni angolo di strada, la batucada brasileira era ballata sino allo sfinimento in tutte le spiagge, le foreste, le favelas del Brasile. La gente era euforica e scommetteva tutto quello che poteva sulla vittoria del Brasile, data si e no al 10%, ma sembravano caramelle prese ai bambini, soldi trovati per strada. Chi non aveva soldi se li fece prestare da amici o parenti, o cadde nelle grinfie di avidi usurai. Peggio ancora, centinaia di migliaia di brasiliani ipotecarono la propria casa…….Arrivò il giorno tanto atteso. La partita era in programma alle ore 15.00, ma già dalla notte il Maracanà venne prese d’assalto dai tifosi e riempito all’inverosimile. Ufficialmente si vendettero 199.594 biglietti, ma osservatori imparziali indicarono in almeno 220.000 il numero dei tifosi accalcati al sole sugli spalti. Una muraglia umana, una ressa soffocante. Le radio locali e nazionali dettero inizio ai collegamenti in diretta con lo stadio dalle 6 del mattino. Il Presidente della Repubblica salutò con un solenne discorso la INEVITABILE vittoria do Brasil…..Finalmente l’incontro ebbe inizio. L’allenatore dell’Uruguay Lopez schierò una squadra votata alla difesa. Sul risultato nessuno si faceva illusioni, si voleva però evitare di perdere in goleada. Ma una volta in campo, il capitano della squadra in maglia celeste Varela chiamò i compagni a raccolta e disse loro: “Allora, nessuna partita è mai persa a priori contro nessuno. Stiamo dietro ben coperti, lasciamogli tutto il campo, ma stiamogli addosso nella nostra trequarti. Facciamogli pure fare i giochetti a centrocampo, ma raddoppiamoli sempre appena si avvicinano troppo alla nostra area. Mi raccomando: corti, compatti. Aspettiamoli, ma con la palla usciamo sempre con disimpegni in fraseggio: li dobbiamo costringere a fare l’unica cosa che non sanno fare: correre!!!! ….Poi vediamo come si mette…..” Al fischio d’inizio dell’arbitro inglese Reader, il Brasile cominciò a dare spettacolo. I suoi funamboli inebriavano la folla con i loro palleggi, con colpi di tacco mirabolanti, con scambi al volo e sombreros che irridevano gli uruguayani, i quali però negli spazi stretti riuscivano sempre a metterci una pezza, a murare quello, ad intercettare quell’altro, a salvare in tackle, buttando la palla fuori od il più lontano possibile. Ma sembrava una corrida: i picadores che tramortiscono il toro, il torero che rotea la muleta, delizia la folla con le sue veroniche ed i suoi volteggi, ma poi al momento opportuno, quando il toro è esausto, arrendevole, dissanguato, zacchete, la lama che si infila lucente ed inesorabile nel collo del toro che stramazza al suolo inerme …L’esito sarebbe stato quello, era solo questione di tempo. Ma il tempo passava, i brasiliani continuavano a fare le foche, gli uruguayani, imperterriti, continuavano a randellare efficacemente ed in modo ordinato, quasi senza affanno. Non successe niente ed il primo tempo si chiuse senza reti. I brasiliani contenti della loro prestazione, certi che prima o poi….La Celeste pure molto soddisfatta: passati 45 minuti, ed ancora in corsa….Comincia la ripresa. Gli ordini del coach brasiliano Costa erano stati chiari: velocizzare il gioco, far correre di più la palla e tirare da tutte le parti. Bisogna sbloccare la partita, bisogna costringere i conigli uruguagi ad uscire dalla tana. Come spesso accade nel calcio, ecco improvviso ed inatteso l’episodio che scuote la partita. Incomprensione a centro campo tra due uruguayani, ed allora il brasileiro Friaca si infila tra di loro, si impossessa del pallone, evita la martellata di un difensore celeste e da 30-32 metri esplode un tracciante terra aria che incenerisce il portiere uruguayano infilandosi inesorabile nel 7 alla sua sinistra. Un boato terrificante scuote il Brasile tutto. Giocatori impazziti di gioia, tutti in campo che si abbracciano, ballano e festeggiano, spalti in delirio, giornalisti osannanti, popolo in visibilio….Cominciano i fuochi artificiali. La partita riprende, ma nessuno se ne cura più. I giocatori brasiliani si placano appagati e sicuri, gli uruguayani traccheggiano in attesa degli eventi. Comincia il conto alla rovescia per la festa finale, una festa che si annuncia totale, interminabile, indimenticabile. Nelle redazioni si scrive Brasil 1 Uruguay 0, marcatore Friaca….Tra poco si chiude e si stampa tutto. Mentre i brasiliani in campo si beano, i giocatori celesti si interrogano sul da farsi. Si fa torello a metà campo, fino a quando la palla non passa per i piedi di Juan Alberto Schiaffino, un oriundo italiano, basso, senza fisico, segaligno, magro, un viso allungato con le borse sotto agli occhi, ma dotato di uno dei più grandi cervelli calcistici di ogni tempo. Juan Alberto è intelligente, vede il gioco come pochi, si accorge che la difesa bianca è disattenta, che non copre bene la fascia destra, è sbilanciata….e dal cerchio di centrocampo con lo sguardo cerca Alcide Ghiggia, un altro oriundo italiano, piccolo piccolo, con due gambette striminzite sormontate da un torace enorme per lui, esagerato, che lo fa sembrare un passerotto. Ghiggia è astuto come una volpe, capisce al volo le intenzioni del compagno e scatta a dettare il passaggio. La palla gli plana morbida e docile davanti, sulla corsa, faccia alla porta avversaria. Con quei polmoni e quelle zampette, Ghiggia leggero come una piuma, va via come il vento verso l’aerea brasiliana. Rinvenendo trafelati, un paio di avversari gli si fanno disperatamente incontro: saltati in corsa come birilli. Ghiggia punta la porta, finta il tiro, mette a sedere portiere e centrale carioca, poi piega in dribbling a rientrare ed appoggia docile docile a Juan Alberto, che si presenta puntuale all’appuntamento dopo 50 metri di corsa. Solo un tocco vellutato di piatto destro, quanto basta a spedire il pallone a baciare la rete del Brasile. E’ il pareggio, ma i giocatori uruguayani quasi manco esultano. Sanno che il pari non serve a niente sul piano pratico, a loro servirebbe vincere….I giocatori brasiliani sono costernati: ma come è possibile, venti minuti alla fine e 1:1. Sono frastornati, non sanno cosa fare. Il pubblico lì per lì manco ci fa caso al pareggio dell’Uruguay, ma poi la notizia fa rapidamente il giro degli spalti, e la folla festante e disattenta si cheta. C’è incredulità, smarrimento…… Come il pareggio, e mo che succede?….Ma io ho scommesso sulla vittoria tutti i risparmi di una vita di sacrifici… ho preso i soldi in prestito….mi sono impegnato l’oro di moglie e figlie…..ho ipotecato la casa….Come pareggio? Ma sicuri che non stiamo vincendo noi? E mo come faccio? Mo che deve succedere?...... La partita riprende. I giocatori brasiliani sono titubanti, avviluppati nella loro paura. Non sanno cosa fare, come comportarsi. Non trovano conforto neanche nel fatto che, tutto sommato, per loro il pareggio va bene, è un risultato che darebbe loro il titolo. Sono incerti, confusi. Si interrogano disperati tra loro scambiandosi sguardi ormai spenti. Cercano lumi ed indicazioni dalla panchina, ma tutto tace. Sono allo sbando, in balia di se stessi. Sanno che se si difendono rischiano grosso contro questi furbacchioni di tre cotte che mostrano di essere gli uruguagi; se attaccano… che sofferenza stare dietro ai loro stramaledetti contropiede!!!….Fare possesso palla…, ma dove conviene farlo? Nella nostra o nella loro trequarti…dove? che sti bastardi ti aggrediscono dappertutto e ripartono come assatanati…. Il terrore si impossessa dei giocatori in maglia bianca che ormai vagano per il campo senza più un ordine tattico, nè una logica di gioco. Il torero si fa toro….è mentalmente esausto… si aspetta che capiti il peggio… attende rassegnato il colpo di grazia. E’ quello che aspettavano gli uruguayani. Tutti rintanati nella loro trequarti, non tanto in difesa del pari, quanto in attesa del momento più opportuno per portare la stoccata ferale. Ed al minuto 79 della gara il destino si compie. Ancora loro! Juan Alberto appoggia dietro, la difesa uruguagia rincula e fa giropalla, i brasiliani abboccano e si appressano all’area della Celeste….un triangolo ricamato e la palla torna a Juan Alberto : svolazzo elegante per evitare un avversario, poi cambio di gioco di 40 metri con lungo-linea sull’out destro con effetto a rientrare. Alcide Ghiggia è talmente piccolo che i brasiliani manco lo vedono partire, e quando se ne accorgono è troppo tardi. La minuscola aletta uruguayana neanche si deve affannare a correre, tanto è il suo vantaggio su qualsiasi avversario. Tra lui e la storia c’è ormai solo il portiere brasiliano. Ghiggia avanza leggero come un soffio di brezza mattutina a primavera, entra in area dal lato corto di destra e, come il portiere accenna all’uscita, lo fulmina passandolo con un fendente di destro che sfiora il piede d’appoggio dell’estremo difensore carioca e termina la sua corsa dietro al palo opposto all’angolo di tiro. E’ il vantaggio dell’Uruguay. Sullo stadio piomba il gelo, un silenzio assoluto, irreale, inquietante. Mancano 10 minuti alla fine della partita, ma a questa nessuno fa più caso. Gli uruguayani comprendono il dramma di un intero popolo ed hanno l’accortezza e la sensibilità di non esultare troppo, di non infierire. Passano 10 minuti da day after, poi finalmente la fine. La Coppa Rimet viene consegnata alla chetichella al capitano uruguayano Varela, senza cerimonia di premiazione, senza complimenti, senza congratulazioni. Sugli spalti 19 persone si suicidarono al termine dell’incontro, ma poi saranno centinaia i morti per suicidio, ammazzati in regolamenti di conti, o dai familiari cui avevano tolto tutto. Centinaia di migliaia di brasiliani rimasero senza niente, molti avendo perso pure la casa. I giornali uscirono listati a lutto, il governo cadde, la maglia bianca venne abiurata, chi ce l’aveva la gettò via, ne fece stracci, la bruciò. Da quel giorno la Selecao adottò la classica casacca con i colori nazionali verde-oro, con pantaloncini blu e calzettoni giallo-oro. Più tardi, Varela dichiarò di essere dispiaciuto di aver involontariamente provocato un così grave disastro al Brasile, e che potendo ritornare indietro, non avrebbe mai più consentito alla propria squadra di segnare il secondo gol. Juan Alberto Schiaffino, eletto in anni recenti il più grande calciatore uruguayano della storia, poi percorse una brillantissima carriera al Milan di Rivera, vincendo con la casacca rossonera tre scudetti. In seguito passerà alla Roma con la quale vinse l’equivalente della UEFA Cup. In totale, disputò nel nostro paese 188 partite, segnando 50 reti. E’ morto a Montevideo nel 2002 avendo conosciuto agi ed onori. Ghiggia invece approdò alla Roma dove si comportò con alterne fortune. Sperperò in malo modo quanto guadagnato col calcio e, ridotto in miseria, sopravvisse facendo l’inserviente in un garage di Montevideo e con qualche modesto aiuto della società giallorossa. Nel 2009 il Brasile gli rese onore invitandolo a calpestare l’erba del Maracanà nel corso di una commovente cerimonia a 59 anni di distanza da quello storico evento. Ora, ad 85 anni, è rimasto la testimonianza vivente della più sensazionale, incredibile, drammatica ed inattesa vittoria della storia del calcio. Caelsius.

Con tag Curiosità

Per essere informato degli ultimi articoli, iscriviti:
Commenta il post